- Autore: Roberto Fustini
- Data: 2023
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Claudia e i suoi amici, un pomeriggio d'autunno al luna park. Mentre si scatena una vera e propria tempesta che getta i visitatori e i gitani nel caos, la ragazza ha una specie di visione, dalla sua memoria si risveglia qualcosa che trova riscontro tra le attrazioni della fiera. Un gigante e il suo padrone zingaro potrebbero essere i responsabili di un orrendo omicidio di cui fu in parte testimone molti mesi prima, ricordi che lo choc l'aveva portata a rimuovere.
Nel fuggi fuggi generale lei e l'amico Renzo si trovano faccia a faccia col gigante, e da lì inizia l'inseguimento. Claudia e Renzo sono gli scomodi testimoni da togliere di mezzo, lo zingaro la mente malvagia che manovra tutto quanto, il gigante la mano spietata che deve portare a termine il compito.
La sagoma era talmente confusa che non capì subito di cosa si trattasse. Finché vide una mano sporca di sangue che spuntava da un groviglio di indumenti, una cascata di capelli rovesciata sul tappeto. Tese una mano tremante e spinse quella che poteva essere una spalla. Questa oppose solo una lugubre, passiva resistenza, quindi cedette e si rovesciò su un lato.
Il volto di Renata era cristallizzato nel terrore. Gli occhi spalancati, un rivolo secco e scuro dalla bocca semiaperta. Prima che Renzo potesse recepire tutta la violenza di quell’immagine, qualcos’altro gli inflisse l’ennesima sferzata. La testa penzolava dal collo, prossima a distaccarsene del tutto.
Il ragazzo perse d’improvviso l’uso della parola. Il vuoto in gola rimbombava e faceva eco sul cuore, mentre la mente si riempiva di mille stimoli convulsi. Privo di voce non era in grado di richiamare l’attenzione di Stani, riuscì invece a muovere le braccia e le gambe. Si rialzò in piedi, disorientato, si mosse goffo saettando il fascio della torcia qua e là, finché crollò su un divano che stava proprio davanti alla finestra. La torcia gli cadde di mano e rotolò a terra dove si spense.
Rimase fermo. Inspirò profondamente, cercò di regolare il respiro. Ebbe così modo di abituare gli occhi alla penombra, di vedere più che qualche mera sagoma indistinta. C’era una figura che si stagliava contro i sottili fili di luce che penetravano dalle persiane. L’ombra si stava muovendo silenziosa, leggera, diventava sempre più grande.
Doveva essere quello che provava Claudia quando era senza occhiali, con quella visione confusa della realtà che spinge a ricostruire, a vedere ciò che non c’è e a non vedere ciò che c’è. Era restare pietrificati in un’incertezza ancora più angosciante di quella data dalla completa cecità.
Renzo usò la mano destra per tastare il pavimento, toccò la torcia. La tirò a sé e l’accese. Il cono di luce squarciò fulmineo la penombra fra il divano e la finestra. Il gigante era lì e lo fissava, gli occhi stupiti, infossati nella maschera di cuoio, nella maschera della sua pazzia scimunita. In una mano stringeva un grosso coltello da cucina – in proporzione alla sua stazza doveva essere una specie di machete, in realtà – lordo di sangue.
La sorpresa li ghiacciò entrambi, solo un attimo. Poi Renzo gettò via la torcia e sgattaiolò giù dal divano proprio mentre su di esso si rovesciavano le coltellate. Il rumore come di pistoni pulsanti e della stoffa lacerata gli fece capire che, di nuovo al buio, il gigante stava squartando i cuscini, lì dove un attimo prima c’era lui, disteso e indifeso.
Ci vollero comunque pochi secondi perché Nietzsche si rendesse conto di averlo mancato. Lanciò il coltello lontano, afferrò il divano e lo ribaltò su di lui. Renzo si sentì intrappolato, bloccato al suolo come uno scarafaggio. Non ancora schiacciato dalla scarpa ma di questa prigioniero.
Il gigante emise un verso gutturale, si accasciò sul divano cercando di prendere una parte qualsiasi del ragazzo, il quale agitava gambe e braccia nell’inutile tentativo di sgusciare via da là sotto. La sua faccia era a pochi centimetri da quella di Renzo, questi percepiva il fiato pesante dell’altro, le narici gli si riempirono dell’odore di sangue che già prima impestava la stanza.